Il passato a volte ritorna…

E’ proprio il caso dell’anfora, primo materiale usato come contenitore del vino, basti pensare che i primi reperti risalgono a circa 8.000 anni fa.

All’inizio le anfore venivano utilizzate solamente per il trasporto, poi furono introdotte per la vinificazione, come dimostrano gli scavi archeologici in Georgia,culla della Vitis Vinifera, ma con il passare del tempo furono dimenticate a causa della loro fragilità, lasciando il posto alla botte in legno, più comoda e maggiormente resistente agli urti.

Quando si parla di terracotta del vino, si discute di anfore di almeno tre produttori e regioni: Spagna,Georgia (le più antiche come forma ma moderne di fattura, quelle usate da Gravner) e Italia (per esempio le imprunetine di ArteNova).

In Italia il precursore indiscusso dei vini con fermentazione in anfora è stato Joško Gravner, che nel 1996 fece il suo primo esperimento di vinificazione della ribolla con lunga macerazione sulle bucce, utilizzando come contenitore un’anfora procurata da un amico georgiano.

L’abbandono di questo tipo di contenitore oltre che per la sua delicatezza, fu anche per la cessione di minerali che essa aveva, compromettendo le caratteristiche organolettiche del vino ma con l’uso di argille maggiormente pure questo limite oggi ha dato modo di essere rintrodotta.

Oggi, grazie alle nuove tecniche di fabbricazione, le anfore son ritornate “di moda”, esse resistono a temperature più alte rispetto alla botte, inoltre la terracotta è un materiale naturale, eterno ( la spesa iniziale è sostanziosa, ma alla fine può essere un buon investimento!) e adatto a lunghe macerazioni e consente una buona traspirazione.

Essa esalta le caratteristiche varietali dei vini che custodisce, produce un prodotto preciso e elegante, non cede sapori terziari o aromi e ne conferisce una particolare colorazione, in più fornisce un ottimo isolamento termico e si ha un ossigenazione inferiore rispetto alla barrique.

Quando scegliamo di fare una vinificazione in anfora, che può comprendere sia la sola fermentazione o anche l’affinamento, bisogna tener di conto della materia prima, ossia il vitigno e la capacità dell’anfora.

Possiamo inoltre trovare oltre che all’argilla, il cocciopesto, un materiale derivante dall’impasto crudo di frammenti lapidei, coccio tritato e sabbia essiccato al sole, definito maggiormente ecosostenibile.

Cocciopesto dell’azienda Caiarossa

A livello di operazioni in vinificazione, non ci sono grandi differenze, a parte che per le follature, ossia il processo mediante il quale le vinacce a causa della fermentazione ( il famoso cappello) vengono spinte verso il basso per dare omogeneità e per l’estrazione, che in questo caso vengono fatte a mano.

 

Durante la manifestazione “Terre di Pisa 2019” svolta alla Stazione Leopolda, ho avuto modo di frequentare un seminario sulla vinificazione in anfora e ho potuto assaggiare alcuni vini prodotti con questo metodo, confrontandoli con altri ( uno vinificato in anfora e l’altro “ tradizionalmente”).

Eccoli qua:

  1. Azienda “Usiglian del Vescovo”, vino “ Il Ginestraio VS “ “il MilleEsettantotto”: abbiamo in entrambi i casi uno Chardonnay sposato con il Viognier ma le differenze si notano: il MilleEsettantotto affina in anfore di coccipesto, donandoli un colore più acceso, aromi più fini e un corposità particolare
  2. Azienda “Spazzavento “ vino “ L’uva e la Terra “ 2017 ( anfora) VS “ Azienda “Beconcini”, vino “Vea” 2018, entrambi a base di Trebbiano, quello vinificato in coccipesto presenta un colore aranciato e un naso particolare.
  3. Azienda “ Agona” con il vino “ il Presuntuoso 2015” VS “L’uva e la terra 2016” della Spazzavento, due Sangiovesi differenti, con caratteristiche varietali espresse diversamente.

  1. Azienda “Pagani de Marchi” con i sue due Cabernet Sauvignon vinificati diversamente, quello che segue il percorso in anfora, presenta una gentilezza maggiore.
  2. Azienda “Fattoria Uccelliera” con il suo “Syrah7dieci “ del 2015 e il Syrah  2016 dell’ azienda Spazzavento ( anfora), nel primo emerge una frutta più dolce e avvolgente, nel secondo troviamo maggior carattere balsamico e vegetale.
  3. Azienda “Caiarossa” con i sui due “Caiarossa” 2018, che racchiudono ben sette varietà, vini ancora non finiti, ma quello che tocca l’anfora presenta maggior finezza e delicatezza.

Moda, ritorno alla tradizione, innovazione, l’anfora può racchiudere tutto questo, è un qualcosa di “Vecchio” che appartiene al “Nuovo”, si può però affermare che da un tocco diverso ai prodotti che abbraccia, un tocco che può piacere oppure no, dipende da ciò che si vuole ottenere, ma personalmente, a prescindere da tutto, essa ha il suo inimitabile fascino.

La vostra Wineblogger, Greta Orsolini

https://grewurztraminer.blogspot.com/